27 gennaio: giorno della memoria
Il foglio bianco oggi mi mette paura… le parole non escono veloci fuori dalle mie dita, restano lì, sospese, quasi impaurite… perché… perché oggi vi devo parlare di qualcosa di veramente importante, ma anche molto difficile e triste! Vi devo raccontare della “giornata della memoria”.
Come sempre quando Stefania, la caporedattrice, ha proposto l’argomento, ho aderito con entusiasmo, pensando che avrei potuto chiedere aiuto allo Smaro, appassionato di storia contemporanea, e che, come sempre l’articolo si sarebbe scritto quasi da solo…
Beh, stavolta non è così! Penso a come raccontarvi il significato di questa giornata e davanti ai miei occhi sfilano le immagini dei luoghi della seconda guerra mondiale che nel corso degli anni ho visitato… I campi di concentramento di Auschwitz, Mauthausen, Terezin, le spiagge dello sbarco in Normandia, i cimiteri di guerra con quelle infinite serie di croci bianche, i memoriali sparsi un po’ in tutta Europa, la Linea Maginot, i musei francesi della resistenza, la cittadina di Boves, qui vicino a casa mia… i racconti dei giorni di guerra dei miei nonni tornano alla memoria tutti insieme… una grandissima tristezza mi assale perché temo che non sarò capace di trasmettervi il profondo significato di un giorno dedicato alla memoria delle vittime dell’Olocausto. Ma la rabbia che provo ogni volta che sento qualcuno negare che l’orrore dei campi di concentramento sia esistito mi spinge a provarci.
Quando ho visitato Auschwitz avevo poco più di 18 anni, sono passati tantissimi anni, ma il ricordo di quel posto è rimasto indelebile nella mia memoria: vedere centinaia e centinaia di fotografie appese ad un muro, cumuli di sacchi pieni di capelli neri, una montagna di occhiali, le brande strette ed ammucchiate le une sulle altre, i binari che finiscono proprio davanti a quella famosa scritta “Il lavoro rende liberi”… sono immagini che non possono lasciare indifferenti e che ti fanno sentire impotente…
A Terezin ci sono stata dieci anni fa, non ero ancora mamma e penso che questo mi abbia salvato dal mettermi a piangere a dirotto… i muri del museo sono ricoperti dai disegni dei bambini internati in quella città-fortezza! Stride da morire camminare tra quelle mura e pensare al genio architettonico di chi nel XVIII secolo aveva progettato la città e all’uso che i tedeschi ne hanno fatto durante la seconda guerra mondiale.
Mauthausen se ci vai dopo aver visto Auschiwitz, quasi ti da un senso di normalità, è meno atroce, finché… finché non cammini vicino alla cava dove i deportati venivano costretti a lavorare fino allo sfinimento e oltre. Oggi sembra un posto sereno, tranquillo, ma se ti figuri le lunghe fila di uomini ridotti a lumicino che scendono lungo la parete carichi dei loro picconi il cuore ti si stringe.
Mentre ripenso a questi luoghi e all’effetto che su di me hanno avuto, mi rendo conto di quanto sia importante non permettere che l’orrore dell’Olocausto, l’orrore della distruzione perpetrata dai Nazisti nei campi di concentramento vengano dimenticati.
Accendendo la televisione, ascoltando i telegiornali di oggi, mi rendo conto di quanto invece stiamo perdendo il senso di ciò che ha spinto alcuni uomini a lottare per far sì che i regimi Nazional-socialisti venissero scardinati.
Sentire che ci sono persone che discriminano altre persone per il colore della loro pelle, per le loro scelte sessuali, per la loro cultura, sentire che troppo spesso il popolo palestinese non vive molto meglio di quanto non vivessero gli Ebrei nei campi di sterminio, sentire che la religione per alcuni è ispirazione per una “guerra santa” contro chi crede in un Dio diverso mi dice quanto sia importante ricordare a tutti a cosa può portare un odio indiscriminato.
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