Quando avevo 12 anni avevo un gran voglia di sentirmi grande. Non potevo più chiamarmi “bambina” ma ero anche consapevole di non poter dire di essere una “ragazza” (tra l’altro ero un’acciuga secca con gambe sproporzionate e piedi che parevano enormi.).
L’appellativo “ragazzina” mi disgustava allora come oggi, così mi trovavo in quel limbo sospeso tra il “non essere più” e il “non essere ancora”.
Poi sono passati un paio di anni, sono “cresciuta”, e ho pensato che il problema limbo non si sarebbe più presentato, convinzione che ho mantenuto salda fino all’altro giorno. Certo mi era ancora capitato che dei giovani imberbi sbagliando si rivolgessero a me dandomi del lei, o che incautamente mi chiamassero “signora”; ma ho sempre ignorato questi rari episodi o mi sono complimentata mentalmente con i genitori che avevano saputo impartire una tale educazione ai figli.
Poi l’altro giorno l'imponderabile. L’altro giorno mi è capitato di parlare con mia mamma di una mia conoscente, incontrata dopo una mezza eternità alla cassa del supermercato, Gaia, 8 anni, arriva con la sua solita curiosità e mi chiede “chi?” "Ricordi quella"... ragazza? Tizia? Signora?!?!?!
Un attimo di silenzio spaesato. Qual è l’appellativo giusto per rivolgersi di una mia coetanea?
Non sarò mai pronta a considerarmi una signora, non mi considero tale a 36 anni e qualcosa mi dice che continuerò a considerarmi una ragazza anche quando di anni ne avrò 106.
Così mi trovo di nuovo in quel limbo sospeso tra il “non essere più” e il “non essere ancora”. Solo che non sono mica tanto convinta di "non essere più" ma sono sicurissima che "non sarò ancora" per molto, moltissimo tempo.
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