“Semel in anno licet insanire”
Una volta all’anno è lecito impazzire, fare pazzie, scatenarsi e darsi alla pazza gioia: questo è il Carnevale.
Il motto è latino perché è proprio dai latini, cioè dagli antichi romani, che deriva la tradizione di festeggiare in questo periodo dell’anno il carnevale, che all’epoca aveva un altro nome: Saturnalia, cioè feste in onore del dio Saturno.
I saturnalia erano feste sfrenate in cui si salutava l’inverno con i suoi rigori e si dava il benvenuto alla primavera, con il suo tepore e la sua rinascita. Si festeggiava celebrando i piaceri della vita: il gusto per il cibo, per gli scherzi, la danza e l’amore. Il piacere, ma anche il caos, inteso come libertà dalle regole, dai vincoli e dalle convenzioni. Per una volta, una sola durante l’anno, esisteva solo la voglia di divertirsi e di non sottostare ad alcuna restrizione.
Cerimonie e feste molto simili a queste si ritrovano in tutti i popoli precristiani, siano essi romani, greci, egizi, babilonesi, mesopotami ed altre civiltà. Una volta terminato questo periodo di gioia senza regole, però, tutto tornava esattamente come prima, così come l’ordine segue il caos. Questa “pazzia” temporanea aveva dunque un significato filosofico profondo, non si trattava solo di una temporanea licenza di stravolgere le regole o ignorare le convenzioni, ma un rituale ritorno al caos primordiale durante il quale non c’è ordine, non c’è razionalità, c’è solo confusione, animalesca e soprannaturale assenza di ragione.
Questo si manifestava anche con la presenza di personaggi mascherati da animali o da demoni, presenti in tutte le culture. Ma la maschera aveva anche il significato di anonimato, di demolizione gerarchica e sociale (lo schiavo travestito da padrone, il patrizio mascherato da servo). La maschera è l’annullamento della personalità, dell’individuo. La maschera è finzione.
Il termine della festa è la rinascita, la purificazione, la ricostituzione dell’ordine. Spesso infatti il carnevale finisce con la “morte” rituale di un fantoccio o di un altro simbolo, che viene decapitato, distrutto, affogato o a cui viene dato fuoco.
Con l’avvento del Cristianesimo il carnevale è diventato il periodo antecedente la quaresima (quaranta giorni di digiuno e raccoglimento spirituale che precedono la Pasqua) a partire da una data variabile secondo le tradizioni locali (il Natale, l’Epifania, la festa di S. Antonio del 17 gennaio, la Candelora del 2 febbraio). Suo termine ultimo è il Martedì grasso, giorno che precede simbolicamente proprio il Mercoledì delle Ceneri e l’inizio della Quaresima.
Il martedì grasso è giorno di banchetto, di trionfo culinario e gastronomico in cui si mangiano tradizionalmente cibi ricchi di grassi e zuccheri, probabilmente per poter prepararsi adeguatamente al periodo di digiuno che segue (ed è probabilmente da qui che nasce l’etimologia della parola Carnevale. Carnevale= carnem levare cioè eliminare la carne).
Ecco che anche nella tradizione cristiana il carnevale è un periodo di “gioia sfrenata”, e si oppone alla Quaresima: periodo di “penitenza disciplinata”. E il confronto può continuare con la Pasqua, mettendo in antitesi la settimana grassa (dal giovedì grasso fino al martedì grasso) con la settimana santa (dalla Domenica delle Palme sino al Sabato Santo, seguita poi dalla Domenica pasquale di resurrezione e dal Lunedì dell’Angelo).
In epoca medievale i riti, le danze e le feste sfrenate, non viste di buon occhio dalla Chiesa, vennero sostituiti con rappresentazioni teatrali di attori itineranti che inscenavano, per la strada, nelle case patrizie e nei teatri, i peccati dell’uomo (la pigrizia, l’avarizia, la vanità...) e la loro ridicola goffaggine: da questi spettacoli nacquero i personaggi e le maschere del Teatro dell’Arte, ancora oggi protagonisti di spettacoli folcloristici nelle piazze di tutta Italia.
Ma se in tutta Italia l’uso della maschera era limitato al solo periodo carnevalesco, a Venezia l’uso della maschera era quasi quotidiano. Vi erano vari tipi di maschere differenti: che coprivano integralmente il viso o solo parzialmente, maschere decorate o maschere bianche e totalmente anonime, maschere da donna e da uomo o maschere unisex; se ne ha notizia fin dal 1268 e dai primi del ‘300 furono promulgate leggi che limitavano l’uso delle maschere nella vita sociale dei veneziani. Più volte infatti, nel corso dei secoli, vennero promulgati decreti per impedire alle maschere di portare con sé armi o strumenti atti a ferire, così come vennero promulgati decreti al fine di impedire alle maschere di entrare nelle chiese, estendendo lo stesso obbligo a tutti i cittadini che si introducevano nelle sacrestie con abiti indecenti.
La maschera aveva quindi molti usi: veniva utilizzata, ad esempio, nelle sale da gioco per "proteggere" giocatori d’azzardo dagli sguardi indiscreti (soprattutto da quello dei loro creditori) oppure era utilizzata dai nobiluomini impoveriti per chiedere l’elemosina agli angoli delle strade. Oltre alla maschera i Veneziani usavano anche abiti particolari: lunghi mantelli, tabarri, travestimenti strani e bizzarri. Tutt’oggi i costumi barocchi dei veneziani che sfilano per calli e piazze costituiscono uno spettacolo di rara bellezza, ammirato in tutto il mondo.